Gabriella Ferri – Cose che ho imparato durante la pandemia

Che sono molto più consumista di quanto non pensassi. Che siamo tutti molto più consumisti di quanto non pensassimo.
Che la carta igienica può valere più dell’oro. E che il bidet vale ancora di più.
E che paese che vai, usanze che trovi, allora se non è carta igienica è la pasta. A meno che non siano le penne non rigate.
Quelle a loro volta valgono come l’ibuprofene in Inghilterra in periodo di coronavirus (scritto così tuttoattaccato).

Ho imparato che la gente è deficiente. Anzi, no – quello lo sapevo già (però ora lo so di più).
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Ho imparato che le pandemie si combattono solo in un modo (escludendo le bombe H, che probabilmente non sono un modo davvero…?) – una sanità pubblica veramente ben finanziata. E con la censura dei (social) media.

Ho scoperto che sono viziata, per aver sempre dato assolutamente per scontata la mia ed altrui libertà di movimento e di viaggiare, per averla considerata come un datum e non un dono acquisito. Come il voto alle donne. Ma quello l’ho sempre saputo.
Ho scoperto che l’Europa unita è una cosa talmente bella, bellissima che quando i confini vengono chiusi a tutti se non alle merci, è l’aria che manca. E la terra sotto I piedi.
Perché vivo su un’isola e le isole si sa, galleggiano mica stanno.
Che la salute è sacra più che mai. E che ammalarsi può diventare un lusso, o un incubo da temere (perché non si sa se ti puoi curare).

Mi sono ricordata dell’importanza degli abbracci. E dei sorrisi agli sconosciuti. Perché quanto porti una mascherina in faccia non si vede che stai sorridendo. E allora non si vede chi sono. Perché io sono il mio sorriso (e pure questo lo sapevo già).

Ho scoperto come è essere bloccati in un paese che non è il tuo.
Ho pure scoperto che ti possono mancare routine assurde come il commute la mattina, e stare stretti, appicciati sulla metro, le madonne tirate perché la district line è lenta e perché gli inglesi non sanno come stringersi sui vagoni (vedessero la linea B in orario di punta a Termini quando devi andare in direzione Rebibbia e non Ionio).
Ho scoperto che la gente non sa come lavarsi le mani, o anzi che proprio non se le lavava. Visto che ora che le persone fanno attenzione a lavare a modo quelle due preziose estremità ditate, allora il sapone non si trova più in commercio.
Ho scoperto che la tecnologia è fighissima, e meno male che ci sono i social e Skype e pure Zoom. Ma che giuro non li sopporto già più.

Ho capito ancora di più quanto io sia fortunata, anzi fortunatissima.
Perché posso lavorare da casa
Perché non mi sono ancora ammalata
Perché lavoro per una multinazionale non cattivissima che mi dà medico di base privato gratis
E pure l’assicurazione sanitaria
Perché ho una casa mia e grande e posso permettermi di comprarmi quello che mi pare e serve. Senza preoccuparmi di non arrivare a fine mese poi.

E che pure se ho i soldi per arrivare a fine mese, ecco pure quelli, in fase di pandemia e in caso di esplosione di inettitudine e imbecillità generale, non servono a niente. Perché il cibo finisce per giorni e settimane, i negozi online finiscono i prodotti e beni, e quasi inizi a temere non ti resti altro che il mercato nero.
Ho scoperto che in fin dei conti forse avevano ragione, ed io avevo torto marcio, quelli che urlavano la morte del retail e annunciavano la fine dei negozi tradizionali, W l’ecommerce, Urrà per il commercio online.
Anche se poi mica tanto torto avevo, visto che non trovi uno slot su Ocado manco a morire….

E che, a proposito di morire, muore tanta brava gente, tanti poveracci che si ammalano per lavorare e per aiutare gli altri, ma chi deve morire, oh quelli non muoiono davvero mai.
E non faccio nomi, per essere politicamente corretta e perché la morte non si augura mai.
Ma ‘nbotto de cortellate, quelle sì, sempre.

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